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NUCLEO CENTRALE DI COSCIENZA AFFETTIVA, INSTROKE ED ENDO SÉ

Immagine del redattore: Will DavisWill Davis

Introduzione

Reich ha descritto la pulsazione come movimento espansivo piacevole dal nucleo alla periferia e come movimento contrattivo di ritorno verso il nucleo, generante ansietà. Eppure, non tutti i movimenti di ritorno al nucleo sono degli stati contrattivi ansiosi. Da 35 anni sto esplorando il funzionamento, e i vantaggi, del lavorare con i movimenti verso l’interno, non-contrattivi, della pulsazione: l’instroke. Questo ha portato alla formulazione del concetto di endo-sé (Davis, 2014) e a una teoria orientata al Sé dello sviluppo e della terapia (Davis, 2015). Dopo una differenziazione tra contrazione e instroke, vorrei discutere il retroterra teorico, i metodi e i vantaggi del lavorare con l’instroke e l’endo-sé, e fondare questa discussione sul nucleo di coscienza affettiva del tronco encefalico recentemente descritto.

Parole chiave: Reich, instroke, affetto, nucleo centrale di coscienza, endo sé, tronco encefalico, corpo soggettivo.

Differenziare Instroke e Contrazione

La formulazione che dà Reich dell’espansione e della contrazione, descrive non solo la direzione del flusso della pulsazione della vita, dal nucleo alla periferia e viceversa, ma ne indica anche la qualità;

l’espansione è positiva (piacevole) e la contrazione negativa (angosciosa). “A sua volta l’angoscia non poteva essere altro che la direzione opposta, dalla periferia verso il centro (“ritiro in sé”)”(Reich, 1967, p.237). Ma l’addormentarsi notturno, i battiti del cuore, le contrazioni digestive e quelle dell’orgasmo, il sognare ad occhi aperti, la meditazione, e gli “stati d’essere” di Maslow (1968), sono tutti esempi di movimenti verso l’interno non generanti angoscia. Kelley (2004) ha usato i termini “instroke” e “outstroke” per indicare i movimenti pulsatori, ma anche lui ha incluso delle qualità: modalità di rischio e modalità di protezione, e di nuovo abbiamo lo stesso problema. Addormentarsi o meditare, non sono tentativi di protezione. Inoltre, non tutti i movimenti verso l’esterno sono “espansivi”: ad esempio la gola irrigidita mentre si piange, il diaframma trattenuto mentre si espira, o il chiudere gli occhi durante un’emozione dolorosa. In Analisi Funzionale usiamo i termini instroke ed outstroke per indicare esclusivamente la direzione del movimento. Le qualità possono poi essere applicate successivamente, dando luogo al valore e al significato, com’è mostrato sotto. Differenti qualità dell’instroke e dell’outstroke Outstroke Espansivo Contrattivo Esplosivo Dissipativo Dissociativo Contattare gli altri Instroke Contrattivo Raccoglimento Organizzante Centraggio Contenimento Contattare il Sé



immagine al microscopio di tessuto connettivo



Una contrazione è un ritiro dalla periferia, mentre un instroke è un flusso aperto verso il centro. Un instroke va verso qualcosa (il ritorno al Sé) mentre la contrazione è solamente un andare via da qualcosa, non conduce da nessuna parte, e di solito lascia la persona in una no man’s land: fuori contatto sia con il Sé che con l’altro. La contrazione produce isolamento, mentre l’instroke produce differenziazione e individuazione. Una contrazione è una contro-pulsazione, allo scopo di assicurare che non accada nient’altro, essa blocca ed oscura. Un instroke è una pulsazione

continua, per permettere l’accadere di qualcosa. Ha una qualità di raccoglimento e di focalizzazione.

Lavorare con l’Instroke

Trentacinque anni fa cominciai a vedere gli svantaggi dell’usare solo le tecniche classiche Reichiane che consistevano nell’eccitare l’organismo e usare la scarica per “spezzare l’armatura”. (Vedi Reich, 1967) Per esempio, la formula “tensione – carica – scarica – rilassamento”, corre il rischio di rinforzare l’armatura caratteriale. Da una prospettiva energetica Reichiana, psicopatici, isterici, e borderline, si “espandevano” tutti troppo facilmente in modo privo di contatto, mentre orali e schizoidi erano spesso minacciati da questo approccio, producendo nuova angoscia contrattiva. Inoltre, tutte le strutture caratteriali bloccano, per la stessa ragione, emozioni, movimenti e memorie pulsatorie: non le possono processare. Parlando in termini funzionali il problema non è la rabbia verso il padre, o la tristezza per il fatto di essere soli. Il problema è che i pazienti sono già sovraccarichi. Hanno più energia, sotto forma di memorie dolorose, emozioni bloccate e movimenti trattenuti, di quella che possono metabolizzare. Aggiungere ulteriore carica per mezzo di movimenti volontari, respirazione, e gridando frasi di incitamento, fa sì che l’organismo venga sopraffatto, così che l’armatura caratteriale viene attivata, portando a dissociazione, scissione, proiezione e transfert. Ciò si traduce nel sostenere la scissione mente/corpo anziché guarirla. Cominciai a comprendere che il bisogno di scarica, o la paura della scarica, era un segno che il sistema era già fuori equilibrio. Inoltre, le forti emozioni interferiscono sui processi cognitivi, consapevolezza, integrazione, comprensione, e sulla relazione con sé e con l’altro. In aggiunta, la pulsazione non opera in linea retta (tensione, carica, scarica, rilassamento) dal punto A al punto B. La pulsazione si muove in spinte ritmiche, come un’onda rotatoria che si accresce, si raccoglie e si estende di nuovo. (Reich, 1973, p. 185 & 205) Come conseguenza, le tecniche delle terapie orientate al corpo, devono prendere a modello questo tipo di funzionamento.


Onda rotatoria

L’instroke è una forza organizzante, di raccoglimento, che regola l’organismo. Ci sono molti riferimenti a queste qualità dell’instroke da diverse discipline. Il libro del fisico Erich Jantsch, The Self Organizing Universe (1979) è stato uno dei primi a mettere insieme autopoiesi, autoregolazione e auto-organizzazione, in un formato scientifico. Carl Rogers (1978) negli anni '70 ha suggerito l’esistenza di un principio organizzativo in ogni parte dell’universo, esseri umani compresi. Più recentemente lo psicologo del Sé, Ryan, ha scritto: “gli esseri umani hanno un inerente orientamento entropico negativo.” (Ryan, 1991, p.214) riflettendo il modello di Reich (1973) della forza unificante del processo vitale, in violazione della seconda legge della termodinamica. La formulazione rivoluzionaria del matematico Prigogine (1979) delle “strutture dissipative” mostra come la seconda legge della termodinamica viene superata da strutture auto-generanti, auto-regolanti, non in equilibrio, non lineari; vale a dire i sistemi viventi. In modo simile al concetto di “attrazione” nella teoria del caos, la vita è un movimento di allontanamento dal disordine all’ordine: strutturalizzazione nel corso del tempo. Voeikov, afferma che i sistemi viventi fanno qualunque cosa necessaria per non “scivolare” nell’entropia, che si tradurrebbe in inerzia o “morte” del sistema. “Il non-equilibrio stabile che caratterizza il sistema vivente smentisce la visione riduzionista” (Voeikov, 1999, p. 21). Egli ci

conduce al di là della seconda legge della termodinamica, quando ci fa notare che “nessun sistema vivente è mai in stato di equilibrio. Esegue continuamente del lavoro contro l’equilibrio…”(Voeikov, 1999, p. 21). È “nato” in uno stato di non equilibrio. Un sistema vivente è fuori equilibrio con il suo ambiente in quanto non si muove da un ordine di organizzazione più elevato verso uno più basso, come richiede la seconda legge della termodinamica. Vernadsky (1991) chiama questo squilibrio “la principale legge della vita” (1991, p. 20). Reich (1973) ha descritto questa come una funzione dell’orgone. Voeikov (1999) citando Vernadsky, enfatizza la differenza fra entità viventi e non viventi: “c’è una distinzione radicale fra cose viventi e morte, e questa distinzione deve essere basata su qualche differenza fondamentale in materia di energia, situata all’interno degli organismi viventi, in confronto a quella trovata coi metodi della fisica e della chimica, nella materia inanimata, senza vita. O piuttosto, questa distinzione indica l’insufficienza delle nostre usuali nozioni di materia e energia.” (Voeikov, 1999, p. 18) Secondo Vernadsky, “…il processo di sviluppo è impossibile dal punto di vista della fisica o della chimica. Il processo che va dal più basso al più elevato, dall’uniforme e incoerente, al differenziato ma indivisibile, è il principale processo naturale.” (Voeikov, 1999, p.20). Il sistema diagnostico psichiatrico, (OPD) Operationalized Psychodynamic Diagnostics, intravede che “la struttura psichica costituisce un insieme di informazioni che a sua volta organizza esperienze e le elabora. Questo assomiglia a un sistema che evidenzia dinamiche di equilibrio omeostatico in termini di regole ricorsive e l’inizio di processi non-lineari” (OPD Task Force, 2001, p.41). Le “dinamiche di equilibrio omeostatico” e i “processi non-lineari” sono termini psichiatrici per le strutture in non-equilibrio e non-lineari descritte da Reich, Prigogine e Voeikov. Tutto questo supporta l’idea della forza unificante, autoregolante, dell’instroke.

Modellare la Tecnica Terapeutica al Funzionamento Energetico Il modello classico della scarica non è adeguato per quei problemi caratteriali che si è soliti chiamare strutture a “bassa energia”: depressive, orali, schizoidi, passivo-aggressive, e anche disturbi borderline. Ritengo che funzionalmente, il problema per tutte le strutture è che hanno troppa energia non metabolizzata, poiché la stanno bloccando. Inoltre, l’energia non si muove in linea retta ma in “spinte pulsatorie”. Di conseguenza, ho adattato la mia tecnica per mobilizzare lentamente il livello esistente di energia del paziente, in modo non minaccioso, e ho sviluppato l’assioma per cui se una difesa viene attivata, ho fatto troppo, e troppo velocemente, e abbiamo bisogno di indietreggiare e cominciare di nuovo. In questo modo, possiamo poi lavorare “al di sotto” della difesa, ad un livello in cui il paziente continua a sentirsi al sicuro, e può ancora esplorare e progredire. Questa tecnica è diventata una modellazione energetica dell’approccio non direttivo, centrato sul cliente, di Carl Rogers. Combinando questo con una tecnica verbale modellata sugli stessi principi dell’instroke, sono stato capace di aiutare i pazienti a mobilizzare il loro instroke, raccogliersi, e decidere quando volevano “tornare fuori”. In questo modo potevano partecipare di più al proprio processo di guarigione, prendendo decisioni su cosa fare, quando farlo e come. Si sentivano più sicuri, più rispettati, e i loro movimenti verso l’esterno erano più potenti, aggraziati e integrati. (Vedi Davis, 1999 per una rassegna completa di questi processi.) C’erano evidentemente minore dissociazione, scissione, proiezione, identificazione proiettiva e transfert. Come risultato, la relazione terapeutica cambiava. Ciò che si è, da questo, gradualmente sviluppato fu sorprendente e non si adattava a nessuna delle teorie che avevo fino allora appreso: i blocchi fisici e i problemi cognitivi ed emozionali cominciarono a “scomparire”, senza essere stati elaborati, né fisicamente, né verbalmente! I pazienti riferivano che la loro vista era migliorata, i loro dolori mestruali erano scomparsi, l’assunzione di alcolici e fumo, sia sigarette che hashish, diminuita spontaneamente, e le loro diete erano migliorate. Una paziente ha raccontato di non essere andata per 11 anni a casa del fratello, poiché questi era per lei troppo stressante. Ma adesso

riusciva nuovamente ad andarci per vedere i suoi nipoti, in quanto “non più parte di quella sceneggiata teatrale.” Un nuovo processo di formazione di confini si è sviluppato per proprio conto. Un altro fenomeno sorprendente era che a volte i pazienti entravano “dentro” e restavano li: niente avveniva durante il corso della seduta. Eppure, riferivano di cambiamenti significativi e duraturi nelle loro vite. Eccovi un esempio recente di una donna che ha partecipato ad un workshop di cinque giorni nei quali “non è avvenuto niente”, sebbene in seguito ogni cosa sia cambiata. A parte l’esperienza di instroke che ha avuto lavorando con un altro partecipante, ha fatto una sessione di lavoro oculare con me, di fronte al gruppo. “Qualcosa è cambiata in me durante questo training. Non ero in grado di definirlo allora, ma negli ultimi giorni mi osservo semplicemente, e una nuova sensazione di sollievo e tranquillità è emersa dal profondo di me. Molti ricordi sono saltati fuori, ricordi che avevo chiuso a chiave, giù nel profondo, e cercato di ignorare. Prima di venire da te ho letto attentamente i materiali che ci hai suggerito. Ho compreso intellettualmente il concetto di endo-sé e di instroke. Ma era solo un altro concetto, altre parole intelligenti. Nel training ne ho potuto fare esperienza. Ho sentito questo luogo dentro di me in cui tutto va bene, è calmo e pacifico. Non l’ho capito subito, ma poi quei ricordi che sono riemersi, mi hanno fatto ricordare che conoscevo questo posto. Durante l’esercizio di instroke ho visto mio padre. Morì tra le mie braccia quando avevo 13 anni. Quello fu il momento in cui ho smarrito la via per tornare a me stessa e l’ho fatto di proposito. Negli ultimi giorni mi sono ricordata di come mio padre era solito portarmi al fiume, o in montagna, quando ero bambina, e sedevamo semplicemente in silenzio. Egli era solito dirmi che questo è un modo per trovare la pace interiore, di trovare la forza. Mi ha insegnato come ascoltare la mia voce interiore, come sentire il mio corpo, come trovare la forza in me. E quando è morto ero così arrabbiata con lui che ho bloccato tutto, ho buttato via le

chiavi per l’interno e ho iniziato a vivere solo tramite l’ “uscire fuori”. Ho lavorato sulla mia rabbia e sul dispiacere, e su molte altre emozioni nella mia terapia personale. Faccio yoga e numerosi tipi di meditazione. E tutto quello che stavo cercando, tutto quello che faticavo a trovare, è esattamente quella sensazione di calma, e che "tutto andrà bene", che conoscevo così bene nella mia infanzia. L’intuizione appena avuta è così potente. Mi sento sul giusto sentiero per la prima volta. Mi voglio riconnettere a me stessa. E questo cambia così tanto… Ma come può, questo, essere un modello energetico? Non ci sono movimenti “liberatori” spontanei, non ci sono emozioni, a eccezione di un calmo senso di benessere, e il paziente spesso si sentiva esausto dopo non aver fatto niente, eccetto giacere su un materasso ed essere toccato gentilmente. Un paziente disse: “non voglio più stare sdraiato sul materasso. Voglio andare fuori nel sole, ma non mi posso muovere.” Inoltre, questa descrizione, viola le “leggi” della psicoterapia corporea. Il materiale biografico ha bisogno di essere discusso, il paziente deve capire i suoi problemi, i blocchi fisici devono essere rilasciati attraverso l’esercizio e il movimento. Poi ho compreso che c’è uno “stato” soggettivo, risultante dal mobilizzare il processo di instroke: uno stato di “essere” come descritto da Maslow (1968) negli anni ’50 e più recentemente, Solms e Panksepp (2012). Il paziente torna a un senso più profondo si se stesso, ciò a cui Solms e Panksepp si riferiscono come a un tronco encefalico centrato, “nucleo di coscienza affettiva” dove, come Rogers suggeriva, “tutti gli avvenimenti sono amichevoli” (Come citato in Ryan, 2003, p. 75). Io chiamo endo-sé questo stato d’essere, centrato nel tronco encefalico (Davis, 2014). L’endo-sé è una soggettività primaria, auto-organizzante, unificata, incarnata e coerente, la cui unica qualità è di esistere prima del contatto con “l’altro”. Come affermano Solms e Panksepp, la coscienza è “endogena, soggettiva e fondamentalmente interocettiva.” (Solms & Panksepp, 2012, p. 164). Al fine di comprendere tutto questo energeticamente, mi devo riferire di nuovo a Reich.

Ritorno a Reich Prima di esplorare la relazione tra instroke, modello di Solms e Panksepp di nucleo centrale di coscienza affettiva, ed endo-sé, vale la pena tornare al modello energetico di Reich e cercare di rispondere alla domanda: come può, il lavorare con l’instroke e lo stabilire un contatto con l’endo-sé, in cui “niente” accade, essere ancora una formulazione energetica? Oltre al suo modello di tensione/scarica, Reich (1973) ha per primo osservato nel 1935, la differenza tra le onde e gli impulsi, ma non fu che nel 1948 che egli comprese l’interrelazione funzionale tra questi due movimenti di una pulsazione sottostante. Le onde sono movimenti ritmici, in continua evoluzione, ma formano una linea continua. Gli impulsi, d’altra parte, sono movimenti espansivi e contrattivi che si alternano, in contrasto con le creste e gli avvallamenti costanti dell’onda. Essi sono un processo discontinuo, formando “punti” al posto di una linea continua. Reich (1973) vide che gli impulsi erano come picchi su una catena montuosa sottostante. Diagramma (dopo Reich)

Questo è quello che stavo vedendo clinicamente. In termini di impulsi e di onde, mobilizzando l’instroke, i pazienti erano capaci di andare più

profondamente dentro se stessi e trovare un senso del Sé continuo, sicuro, affidabile, che ora chiamo endo-sé. Una paziente dichiarò: “amo me stessa al di là del buono e del cattivo.” Il “buono” e il “cattivo” sono i picchi: l’amare, la rabbia, le proiezioni, il prendersi cura, i conflitti, la frustrazione, la mancanza, il contatto, il transfert. Sono tutti modelli di interferenza che impediscono al paziente di contattare lo stato d’onda più continuo, calmo ma forte. La qualità dell’onda si manifesta come esistenza sicura, esperienza senza conflitti e di “essere”. Ancora una volta, il bisogno di scarica, o la paura di essa, era un sintomo di squilibrio. Questo spiegava il motivo per cui, quando “niente succedeva”, tutto cambiava. Il diagramma qui sotto mostra come ci possano essere due livelli operanti dello stesso sistema: differenziati ma indivisibili.

Diagramma Differenziati ma indivisibili

Allo stesso tempo cominciai a sentire un cambiamento in ciò che i pazienti riferivano. Cominciarono a parlare più di se stessi al momento presente e meno degli altri, del passato, e di ciò che gli era successo nel

passato. Si esprimevano in termini autoreferenziali e non in termini interpersonali: “riempio me stesso con tutto, tranne che me stesso.” “Mi è venuta un’idea. So che è sciocca, ma mi sentivo come se fossi stata la regina del mondo.” “Non ho pianto da sola, ho pianto con me stessa.” e “Ho sentito un’estrema presenza in assenza di me stesso.” Questi sono tutti esempi di affermazioni autoreferenziali, del momento presente, e del modo in cui ciò che era accaduto nel passato, svaniva, nel passato a cui apparteneva. Come Loewald ha scritto, (in Mitchell, 2000, p . 25) da fantasmi che ti infestano ad antenati ormai sepolti.

Nucleo Centrale di Coscienza Affettiva Come suggerito in precedenza, l’endo-sé è un termine da me creato per uno stato soggettivo di consapevolezza che emerge in maniera endogena e che viene sperimentato interocettivamente. Ho sostenuto che questo stato può essere raggiunto mobilizzando l’instroke della pulsazione, che dà luogo al ritorno al Sé. (Davis, 2015). In l’Es sa più di quanto l’Io ammetta, lo psicoanalista relazionale Solms e il neuroscienziato Panksepp (2012) si schierano a favore di un nucleo di coscienza basato sugli affetti, situato nel tronco cerebrale. Questa coscienza nucleare fornisce “l’energia” sottocorticale “per la realizzazione evolutiva di forme superiori di percezione e della coscienza cognitiva.” (Solms & Panksepp , 2012, p.147). Questa coscienza è più primaria rispetto al modello classico di una cognizione dichiarativa, centrata sulla corteccia, basata sulla rappresentazione e sul linguaggio. Secondo il modello corticocentrico della coscienza cognitiva, ovvero della soggettività, vi è una zona di proiezione corticale nell’insula, che il neuroscienziato Craig descrive come “…il fondamento del corpo-come-soggetto, il ‘Sé’.” (Solms & Panksepp, 2012, p. 160) Questa precisa funzione del Sé “…l’abbiamo attribuita al tronco cerebrale superiore. (Solms & Panksepp, p. 160). “Contrariamente a LeDoux e agli altri teorici corticocentrici: tutte le diverse varietà corticali di coscienza dipendono dall’integrità di queste strutture sottocorticali, non il contrario.” (Solms & Panksepp, 2012, p. 163).

A sostegno di questo punto, Solms e Panksepp si riferiscono ai colloqui di Damasio con un giovane la cui corteccia era stata distrutta. Damasio ha potuto dimostrare che anche senza corteccia quest’uomo faceva esperienza della soggettività. Si riferiscono anche alla tragica condizione di idranencefalia descritta da Merker (2007), in cui, bambini che nascono senza entrambi gli emisferi cerebrali, inclusa la corteccia, hanno comunque una soggettività. Le reti sottocorticali sono intatte, portando a bambini che sono “esseri umani emozionalmente funzionali” dotati di un “puro sentimento di sé” (Solms & Panksepp , 2012, p. 163). Solms e Panksepp assumono la posizione radicale secondo cui la neocorteccia, pensata tipicamente come sede della coscienza, è essenzialmente inconscia! Sottolineano che non vi è alcuna prova che la corteccia, senza sostegni sottocorticali, possa avere, di fatto, alcuna esperienza soggettiva. Una neocorteccia senza tronco cerebrale non può mai essere cosciente, ma è invece possibile il contrario. Un modello a due livelli della coscienza ha delle implicazioni per la psicoterapia. “Quest’analisi gerarchica ci permette di essere consapevoli in diversi modi: ad esempio, di sentirci felici e tristi, senza necessariamente avere la capacità mentale di riconoscere che si è felici o tristi, e tanto meno di riflettere sulle relazioni oggettive che hanno causato questa felicità o tristezza. Essere fenomenicamente coscienti, di per sé, non richiede affatto molta raffinatezza cognitiva.” ( Solms & Panksepp , p . 148 ) Questo descrive ciò che generalmente è conosciuto come inconscio, fare qualcosa che sappiamo non si dovrebbe, e spiega il transfert, la repressione, la negazione, ecc. Ma Solms & Panksepp procedono in questa direzione: La conoscenza che l’Es di Freud è intrinsecamente consapevole ha enormi implicazioni per la psicoanalisi, per la psichiatria biologica, e per la nostra comprensione della natura della mente. Questa svolta degli eventi potrebbe essere

profonda, non di meno perché, nel momento in cui Freud, come tutti sanno, proclamò quale obbiettivo terapeutico della sua “Talking Cure”, “dov’era l’Es, deve essere l’Io” ([57], p. 80), assumeva che l’Io illuminasse l’Es. Ora sembra più probabile che accada il contrario: il parlare riflessivo è atto a smorzare e vincolare la coscienza di base. Come si riconcilia questo fatto con lo scopo dichiarato della terapia psicoanalitica, vale a dire l’annullamento delle rimozioni? E quali sono le implicazioni per altri approcci alla psicoterapia e alla psichiatria? (Solms & Panksepp , 2010, p. 168) Un’implicazione è che l’enfasi della psicoterapia corporea sull’esperienza, e non solo sulla spiegazione, otterrebbe parecchia credibilità! Come accennato in precedenza, queste forti emozioni inespresse interrompono l’elaborazione cognitiva, di modo che è possibile per un individuo provare sconvolgimento emotivo senza insight o assunzione di responsabilità. Mobilizzare l’instroke e scavare al di sotto di tali emozioni non metabolizzate, in modo lento e sicuro, evita questi problemi classici.

Tutta la Coscienza è Endopsichica In quella che chiamano la “fallacia esterocettiva”, Solms e Panksepp sottolineano che vi è un forte contrasto tra i concetti della mente di Freud e quelli della corrente ricerca neuroscientifica. È stato Freud che “…ha inaugurato la commistione di processi inconsci, con l’inconsapevolezza cognitiva della coscienza istintuale” portando a “…relegare prematuramente i processi affettivi incontrollati, all’interno dell’inconscio.” (Solms e Panksepp, 2012, p. 159). Freud non ha mai dubitato del fatto che la coscienza fosse una funzione corticale. Per dirla senza mezzi termini: la coscienza è generata nell’Es. [L’Es]…è endogeno, soggettivo e fondamentalmente interocettivo, in una sorta di modo affettivo” "(Solms & Panksepp, 2012, p.164) [corsivo aggiunto]. È noto sin dal 1950 che la coscienza globale [di Sé, n.d.t.], misurata attraverso l’attivazione EEG, è generata internamente e non da stimoli

esterni. Per usare la terminologia di Damasio, la coscienza è “estesa” al mondo esterno. Può ora essere possibile invertire il modello classico Freudiano della coscienza come punta dell’iceberg, e dell’inconscio come parte sommersa. Ho proposto da anni, che sulla base delle qualità dello stato di endo-sé, la parte sommersa sia la coscienza e che al di sopra del livello dell’acqua si trovi la consapevolezza. Questo modello ha delle evidenti somiglianze con le tradizioni yogiche e meditative, nonché con il “network di modalità predefinita” di Raichle (2010). Il diagramma qui sotto indica la parte dell’iceberg al di sopra della linea di galleggiamento come consapevolezza, e la parte sommersa come coscienza. Coscienza e inconscio sono invertiti

Il Corpo Esterno e il Corpo Interno Ciò che è di particolare interesse per gli psicoterapeuti ad orientamento corporeo, è la riformulazione di Solms e Panksepp dell’immagine corporea interna. Il modello classico è una mappa

somatotopica, centrata sulla corteccia, nota come l’homunculus corticale, che fino ad ora è stata definita il copro interno. Modello classico del corpo interno

Per via del loro modello a due livelli di coscienza, i due ricercatori dicono che questo è il corpo esterno – a base sensomotoria, esterocettiva, e rappresentato come “cosa”, allo stesso modo in cui sono rappresentati tutti gli altri oggetti. Si tratta di una stabile rappresentazione esternalizzata del soggetto della coscienza, non del soggetto stesso. È un’illusione: il Sé della cognizione di tutti i giorni è un’astrazione. “È importante notare che i meccanismi cerebrali che rappresentano il corpo esterno, rappresentano anche gli altri oggetti esterni. Il corpo esterno è un oggetto. È l’aspetto del corpo che si percepisce quando si guarda verso l’esterno, per esempio allo specchio. (“Quella cosa sono io”, è il “mio corpo”.) (Solms & Panksepp , 2012, p 154) Continuano poi sostenendo che il corpo esterno “…non è il possessore o il locus della coscienza” (p.154) e pertanto non è il sé soggettivo. Il vero soggetto della coscienza, situato nel tronco cerebrale superiore, si identifica con questa rappresentazione del corpo esterno, nello stesso modo in cui un bambino si immerge in un personaggio dei

videogiochi. “Le rappresentazioni vengono considerate come il Sé, ma in realtà non lo sono.” ( Solms e Panksepp , 2012, p . 154 ) Questa rappresentazione corticocentrica dell’immagine corporea, è la formulazione tipica del senso di sé usata in psicologia. Ma esiste un più profondo sé soggettivo, un corpo interno soggettivo. Questo corpo interno genera un tipo diverso di coscienza, rispetto alla coscienza esterocettiva, neocorticale, del corpo esterno. Il tronco cerebrale interocettivo genera “stati” interni, piuttosto che “oggetti”; ad esso mi riferisco come endo-sé, accessibile mobilizzando il movimento verso l’interno (l’instroke), a onde, della pulsazione. …Sta diventando sempre più evidente che il corpo interno genera un tipo molto diverso di coscienza rispetto alla coscienza associata con la corteccia esterocettiva. Il tronco cerebrale interocettivo, insieme a diversi network emotivi, genera “stati” interni piuttosto che “oggetti” di coscienza esterni. In altre parole, il corpo interno non è rappresentato come un oggetto della percezione. Ci possiamo figurare questo tipo di coscienza come la pagina neurodinamica sulla quale, o dalla quale, le esperienze esterocettive vengono scritte, in regioni superiori del cervello. (Solms & Panksepp, 2012, p. 156). Il corpo interno funziona in modo automatico e può far destare il corpo esterno al servizio dei suoi bisogni! Rispecchiando l’enfasi di Reich sulle emozioni e sul funzionamento vegetativo, e sulla loro importanza nello sviluppo e nella terapia, Solms e Panksepp affermano che “le radici primarie dell’emozionalità si fondano in questi substrati autonomici (del tronco encefalico)” ( Solms & Panksepp , 2012, p . 156 ). Più di recente, lo psichiatra Thomas Fuchs (2009) fa propria una visione simile. Lavorando con gli schizofrenici, egli ha trovato che l’incarnazione rappresenta un altro aspetto, laddove “i disturbi mentali non devono essere considerati come mere disfunzioni del cervello” ( Fuchs , 2009, p . 573 ). Piuttosto, sono disturbi dello stato di “essere-nel-mondo” della persona. (Fuchs, 2009, p. 571) Fuchs distingue tra il corpo-soggetto, pre-riflessivo e non percepito (Leib), e il corpo fisico (Koerper) che viene percepito dal Sé e

dagli altri. Il corpo-soggetto è un mezzo, o uno sfondo, che non richiede attenzione esplicita. Così, il corpo vissuto corrisponde anche a una base di certezze indiscusse…come know-how preriflessivo [enfasi aggiunta]. Radcliff ha sostenuto di recente che le sensazioni corporee di base, sono allo stesso tempo sensazioni di stati corporei e modi di vivere il mondo. Questo si applica in modo particolare alle ‘sensazioni esistenziali’, quali il sentirsi a casa e l’appartenere al mondo [enfasi aggiunta]. (Fuchs , 2009, p . 574) Esso (il corpo vissuto, n.d.t.) fornisce una precomprensione fluida, automatica, e sensibile al contesto, delle situazioni della vita di tutti i giorni, collegando così il Sé e il mondo: ‘intercorporeità’. Recentemente, un paziente che stava affrontando una situazione potenzialmente pericolosa, ha riferito di aver avuto “…in sottofondo, un pensiero/sensazione di essere competente – sicuro di me e non era collegata a ciò che accade al di fuori.” (Fuchs , 2009 , p 572) Questo corpo interno non è un oggetto della percezione, ma ne è il soggetto: il corpo come soggetto. “L’auto-coscienza somatica…avviene attraverso un medium incarnato non verbale.” (Pagis, 2009,p.268). Come terapeuti orientati al corpo dobbiamo chiedere a noi stessi con quale corpo stiamo lavorando? Proprio come il paziente di Fuchs, ‘competente’ e sicuro di sé, lo stato d’essere dell’endo-sé offre la stessa esperienza. Come riportano i pazienti, le esperienze nello stato di endo-sé sono “conosciute”, “giuste per me, anche se non so il perché”, “sicure”, la “casa” in cui tutti gli avvenimenti sono amichevoli. È il sé “non danneggiato” (integro) che può essere contattato attraverso l’instroke, al di sotto di difese, resistenze, repressioni e traumi. Un paziente, facendo fatica a trovare le parole giuste per come si sentiva al temine di una seduta, alla fine sbottò: “Oh, è più importante per me, di quanto lo è per te!” A livello del nucleo centrale di coscienza di questo corpo interno, come Reich ha descritto con la sua analogia dell’ameba (Reich, 1973,

p.111), l’endo-sé prova affetti a valenza sia positiva che negativa: piacere e dispiacere. Solms e Panksepp (2012) sottolineano che gli affetti a questo livello non rappresentano eventi esterni specifici. Il modello corticocentrico classico dell’immagine corporea e della coscienza, è una rappresentazione di eventi esterni noetici (percepiti). La coscienza affettiva rappresenta le reazioni interne, soggettive, non percepite, a eventi esterni che sono automaticamente valutati come positivi o negativi per l’organismo. Questo è il livello funzionale di Reich: c’è attrazione e repulsione (lust/unlust), avvicinamento/evitamento. Pensieri ed emozioni, che si situano “più in alto” nel cervello, sono valutazioni, le percezioni e azioni organizzate, causate da ciò che è stato provato a livello funzionale. Pensieri ed emozioni sono sempre “riguardo a” qualcosa di esterocettivo: sono triste per…, sono arrabbiato per… etc. Come Solms e Panksepp hanno sottolineato, il livello della coscienza del nucleo centrale, può richiamare il livello corticale a soddisfare i suoi bisogni, e noi possiamo vivere forti stati emozionali senza esserne a conoscenza. Il Sé corticale, basato sul linguaggio, astratto e rappresentato, è “in sé inconscio.” Sono d’accordo con la loro posizione secondo cui il Sé nucleare è il cosiddetto Es, la “fonte di tutta la coscienza”, ma senza tutte le qualità negative, distruttive e caotiche, che solitamente gli vengono attribuite. La nostra più importante conclusione può ora essere definita così: il Sé nucleare, sinonimo dell’Es di Freud, è la fonte di tutta la coscienza; il Sé dichiarativo, sinonimo dell’ Io di Freud, è in se stesso inconscio. Tuttavia, poiché l’io stabilizza la coscienza di base generata dall’Es, trasformando gli affetti in rappresentazioni oggettuali, e più precisamente rirappresentazioni verbali di oggetti, di solito pensiamo a noi stessi come esseri coscienti in quest’ultimo senso. Questo oscura il fatto che il nostro pensiero cosciente (e il percepire esterocettivo, che il pensare ri-rappresenta) è costantemente accompagnata da affetti di basso livello (una sorta di “energia libera” residua, da cui la coscienza cognitiva fu costruita durante la psicogenesi evolutiva). Comunque, la sottostante e primaria forma di coscienza affettiva è letteralmente invisibile, quindi dobbiamo tradurla in immagini percettivo-verbali, prima di

poter dichiarare la sua esistenza. L’Es muto, in breve, conosce più di quanto gli sia possibile ammettere. (Solms & Panksepp, 2012, 168) Freud (1923) ha descritto l’Es in questo modo: …la parte oscura, inaccessibile, della nostra personalità…di cui la maggior parte è di carattere negativo…Ci approcciamo all’Es con delle analogie: lo definiamo un caos, un calderone pieno di eccitazioni ribollenti. Esso è riempito di energia che gli proviene dagli istinti, ma non ha alcuna organizzazione, non produce nessuna volontà collettiva, ma solo una tensione per realizzare la soddisfazione dei bisogni istintuali, soggetta all’osservanza del principio di piacere. (pp.105-6) Allo stesso tempo egli ha dichiarato che l’Io è emerso dall’Es. ma com’è possibile ciò, se l’Es è caotico, disorganizzato, istintuale e alla ricerca del piacere? Come può l’Io - orientato alla realtà, “stabilizzatore”, mediatore - essere nato da tale stato? Può solo se l’Es è, come descrivono Solms e Panksepp, proprio come fece Maslow negli anni ’50, e come sto facendo io ora con i concetti di Reich, lo stesso instroke e il conseguente stato di endo-sé. Se prendiamo l’immagine dell’iceberg in modo letterale, coscienza e incoscienza sono fatte della stessa “materia”, differenziate ma indivisibili.

Riassunto Ho argomentato in favore di una comprensione più sfumata del flusso pulsatorio di ritorno al nucleo di Reich, dimostrando che non tutti quei tipi di movimento sono contrattivi. Lavorando con questa forza unificante, entropico-negativa, spontanea - l’instroke - sono rimasto sorpreso dei fenomeni che sono emersi. I pazienti si muovevano in modo davvero profondo verso l’interno, assumendo spesso una “posizione fetale” non contrattiva; (Vedi Davis, 1998 per una elaborazione) e senza scariche, emozioni o discussioni, i principali temi terapeutici si risolvevano da soli. Uno “stato d’essere”,

come lo descrisse per primo Maslow, (1968) veniva suscitato: uno stato di endo-sé. Utilizzando gli argomenti di Solms e Panksepp, il cui articolo raccomando vivamente, ho sostenuto il concetto di un senso del sé non danneggiato (integro), che giace al di sotto di difese, conflitti, e mancanze, che può essere contattato direttamente, usando sia le parole che il tocco, e che aiuta i pazienti a partecipare al proprio processo di guarigione. “… La percezione avviene per un soggetto incarnato unitario.” (Solms & Panksepp, 2012, p.156) [enfasi aggiunta]: un Sé integro. I teorici cortico-centrici hanno sempre sostenuto che tutte le varietà corticali di coscienza sorgono in modo indipendente dalle attività sottocorticali. In realtà avviene il contrario. La consapevolezza corticale dipende dall’integrità di queste strutture sottocorticali. Le diverse varietà di coscienza non potrebbero esistere senza queste “energie sottocorticali” più profonde.” Inoltre, a livello corticale, non solo abbiamo molte varietà di coscienza, ma abbiamo anche una “vasta varietà di sé idiografici” (Solms & Panksepp, 2012, p. 168). Questi sono i Sé tipici che vengono discussi nello sviluppo e in psicoterapia. Io sostengo che a livello subcorticale noi disponiamo di un solo Sé, l’endo-Sé incarnato e unitario, e che è possibile andare “laggiù” a contattarlo, mobilizzando l’instroke.

References

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